UN'ESPERIENZA DELLA COSCIENZA COSMICA


Paramahansa Yogananda dopo essersi allontanato per un periodo dall'eremitaggio del suo guru Sri Yukteswar, ed essersi presentato a un altro guru chiedendo di fargli vivere l'esperienza mistica, ma con una nuova negazione, si ritrova come di consueto meditare in presenza del suo guru, il quale nota in Yogananda il disturbo dei pensieri che non consentono una felice meditazione. Il guru lo interrompe ed esaudisce il suo desiderio.


Un'esperienza della coscienza cosmica

"Con la mano mi diede un lieve colpetto sul cuore.
Il mio corpo divenne immobile, radicato al suolo; come se un gigante magnete mi avesse risucchiato l'aria dai polmoni, non respiravo più. L'anima e la mente scolsero all'istante i loro legami con il corpo e si riversarono all'esterno di ogni suo poro, come sottili e fluidi raggi di luce. Il corpo era come morto, eppure avevo la profonda consapevolezza di non essere mai completamente vivo prima di allora. Sentivo che la mia identità non era più circoscritta negli angusti limiti del corpo, ma si estendeva a comprendere gli atomi circostanti. Le persone nelle strade lontane sembravano muoversi dolcemente agli estremi confini del mio essere. Vedevo le radici delle piante degli alberi apparire dal terreno, divenuto semitrasparente, e potevo scorgere la linfa che fluiva all'interno.

Tutto ciò che avevo intorno mi appariva senza veli. Il mio abituale campo visivo frontale si era mutato in una vasta visuale sferica, che mi permetteva di percepire simultaneamente ogni cosa. Con la parte posteriore del capo, vedevo alcune persone che passeggiavano in Rai Ghat Lane e notavi anche una mucca bianca che si avvicinava lentamente. Quando giunse dinanzi al cancello aperto dell'ashram, la osservai come avrei potuto fare con i miei occhi fisici; ma anche quando passò dietro il muro di mattoni del cortile, continuai a vederla chiaramente.

Tutti gli oggetti compresi nel raggio della mia visuale panoramica palpitavano e vibravano come fossero rapide immagini su  uno schermo cinematografico. Il mio corpo, quello del maestro, il cortile con i suoi pilastri, i mobili e il pavimento, gli alberi e i raggi del sole, di quando in quando si agitavano convulsamente finché tutto si fondeva in un mare luminoso, così come avviene per i cristalli di zucchero che, immersi in un bicchiere d'acqua, si sciolgono quando vengono mescolati. La luce unificatrice si alternava al materializzarsi delle forme, e queste metamorfosi rivelavano la legge di causa ed effetto che agisce nella creazione.

Sulle placide infinite sponde della mia anima irruppe un oceano di gioia. Compresi che lo spirito di Dio è beatitudine inesauribile, che il suo corpo è intessuto di un infinità di raggi di luce. Dentro di me un meraviglioso, crescente splendore cominciò ad avviluppare le città, i continenti, la terra, il sistema solare e i sistemi stellari, le evanescenti nebulose e i fluttuanti universi. Il cosmo intero, soffuso di una dolce luminosità, come una città vista in lontananza di notte, riluceva nell'infinità del mio essere. La luce abbagliante, che splendeva oltre i contorni nitidamente delineati di questo sferico panorama, si si attenuava leggermente ai margini estremi, dove potevo scorgere una calda luminosità, sempre immutata. Era indescrivibilemente diafana, mentre le immagini dei pianeti erano composte da una luce più densa.
I raggi divini emanavano da una sorgente eterna che divampava in galassie, trasfigurate da aure ineffabili. Vedevo i raggi creativi condensarsi senza posa nelle costellazioni e poi mutarsi in diafane lingue di fuoco. Con un ritmo alterno, miriadi di mondi si trasformavano in eterea luminosità, e alla fine il fuoco divenne firmamento.

Mi resi conto che il centro dell'empireo era un punto di percezione intuitiva del mio cuore. Uno splendore diffuso scaturito dall'intimo del mio essere s'irradiava in ogni parte della struttura dell'universo. La divina amrita, nettare dell'immortalità, palpitava in me, fluida come l'argento vivo. Udii la voce creativa di Dio risuonare nell'Aum, la vibrazione del motore cosmico.

Improvvisamente il respiro tornò nei miei polmoni. Con una delusione quasi insostenibile, compresi di aver perduto la mia immensità senza fine. Ero di nuovo rinchiuso nell'umiliante gabbia di un corpo, alquanto inadatta ad accogliere lo Spirito."

Dal libro Autobiografia di uno YOGI, Paramahansa Yogananda














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